Prescrizione degli inibitori della pompa protonica (PPI) nei lattanti: una “dipendenza” difficile da stroncare

Nell’aprile del 2009 la rivista Nord-Americana “The Journal of Pediatrics” pubblicava un editoriale dal titolo “Stop the PPI express: they don’t keep babies quiet!” (stop agli inibitori della pompa protonica dati in modo rapido: non contribuiscono a tenere calmi i lattanti) in cui si commentavano i risultati di uno studio condotto da Susan Orenstein (illustre gastroenterologa pediatra USA con cui ho condiviso pubblicazioni e ricerche) che dimostrava nessun vantaggio dalla somministrazione del lansoprazolo nel lattante con pianti, irritabilità, inarcamento del tronco, rigurgiti, singhiozzo, suzione dal seno o da biberon difficoltosa. Nonostante questo e altri studi sull’argomento, nell’ultima decade si è registrato un aumento impressionante nell’uso dei PPI in età pediatrica. Dati dalla Nuova Zelanda e dagli USA indicano che fino a 2/3 ed 1/3, rispettivamente, di lattanti ricevono PPI nei primi di mesi di vita, per sintomi attribuiti a reflusso gastroesofageo (RGE), senza obiettiva documentazione su una relazione causale tra quest’ultimo e i sintomi (quasi sempre pianto e irritabilità, che caratterizzano il cosiddetto “crying baby”)

Un articolo pubblicato recentemente, su “European Journal of Pediatrics” (2020; 179:1957-61) riporta alcune considerazioni di alcuni opinion leader sul RGE dell’età pediatrica e sottolinea perché l’uso dei PPI nel lattante con sintomi generici di irritabilità va sconsigliato e limitato a casi davvero rarissimi. Queste considerazioni si possono così riassumere:

  • Il RGE è un evento fisiologico nei primi mesi di vita ed è legato alla maturazione del cardias (lo sfintere esofageo inferiore) e dello svuotamento gastrico (infatti, un ritardo fisiologico del tempo di svuotamento gastrico è evidente dalla osservazione di episodi di rigurgito a distanza di tempo dalla poppata)
  • Il RGE non è la malattia da RGE: quest’ultima viene considerata se il rigurgito si accompagna a rallentamento della crescita ponderale, alla comparsa dei cosiddetti segni di allarme (ad esempio crisi di apnea o cianosi, laringospasmo, tosse secca stizzosa, tracce di sangue nel rigurgito)
  • Eseguire una ecografia addominale nel lattante con rigurgiti post-prandiali in assenza di segni di allarme non è giustificato: l’ecografista riporterà segni di RGE (risultato atteso dato che ogni lattante ha reflusso frequente nel post-prandiale), privi di alcun significato clinico. La comunità scientifica non riconosce alcun ruolo diagnostico alla ecografia nell’approccio al bambino con sospetta malattia da RGE. L’ecografia addome è utile soltanto per escludere la stenosi del piloro (in questo caso i sintomi sono rappresentati soprattutto da vomito proiettivo, “a getto”, disidratazione e calo ponderale)
  • L’articolo indica un percorso razionale nel “crying baby” che prevede: a) il miglioramento delle tecniche di alimentazione; b) rassicurare la famiglia che si è in presenza di un disordine funzionale (non organico) e non di una patologia, mettendo il luce il normale sviluppo psicomotorio e ritmo di crescita; c) escludere temporaneamente le proteine del latte vaccino dalla dieta della mamma (in caso di allattamento materno) o somministrare al piccolo un idrolizzato (in caso di allattamento con formula), per periodi limitati (non meno di 2 settimane) per verificare la risposta clinica ex adjuvantibus (prorogando tali provvedimenti in caso di risposta significativa); eventuale somministrazione di un dispositivo medico a base di alginato; consultazione con un centro di gastroenterologia pediatrica per definire eventuali indagini strumentali, ad esempio la pH impedenzometria (pH-MII).

E’ esperienza comune che i “crying babies” non rispondono alla somministrazione (ingiustificata) di PPI, mostrando spesso un aumento di irritabilità quale effetto indesiderato del farmaco: ciò induce, non raramente, ad aumentare ulteriormente la dose del PPI (un atteggiamento sconsiderato !!; capita, infatti di vedere lattanti con dosi di 2.0-2.5 mg/kg di PPI, quando il dosaggio suggerito, nei casi in cui il PPI è necessario, non dovrebbe mai superare 1.5 mg/Kg/die). La mancata risposta è probabilmente dovuta alla natura del RGE che nel lattante è prevalentemente non acido debolmente acido, per via del ristagno gastrico di latte che neutralizza o attenua l’acidità gastrica.

Infine, non vanno dimenticati gli effetti collaterali che derivano dalla somministrazione prolungata di PPI (come si rileva anche da una nota dell’AIFA, l’Agenzia Italiana del farmaco): disbiosi intestinale, rischio di allergie alimentari, infezioni di comunità, rischio di fratture ossee, malattie renali acute e croniche, ipomagnesemia, infezione da Clostridium Difficile.

In definitiva: l’uso dei PPI nel bambino piccolo deve essere concordato con un centro di Gastroenterologia Pediatrica, largamente giustificato da una patologia correttamente documentata (ad es. la malattia da RGE diagnosticata secondo le linee guida) e mai protratto per periodi più lunghi di 6 settimane. Ogni deviazione da queste linee è irresponsabile e ingiustificata

 

Prescription of acid inhibitors in infants: an addiction hard to break
European Journal of Pediatrics 2020; 179:1957-1961